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Album Track By Track

Lucio Matricardi

Mozambico
Una samba scura e frenetica che racconta l’avventura di un caro amico dell’autore incontrato a Milano mentre chiedeva elemosina accanto ad un bar. Da un'amicizia nasce il racconto della ricerca di una felicità ipotetica. Quella di partire dal sud del mondo per venire in Europa a cercare una nuova vita. Nel ritornello sono scolpite le frasi che il personaggio ha ascoltato nella terra di arrivo, dedicate a sé e ai suoi simili clandestini. Una sorta di preghiera che nasconde il canto della migrazione.
Il brano è stato scelto come colonna sonora del trailer ufficiale del “Festival dei diritti umani di Napoli” 2022, rimarcando l’attenzione di Lucio Matricardi per le tematiche sociali e l’attenzione ai diritti umani. La canzone, infatti, è stata selezionata proprio perché tratta temi legati al festival, il cui focus per questa edizione  è la Pace “Im-possibile” (https://youtu.be/JteXFduQ2ZM).

Hanno ammazzato Lino
Dentro ogni strofa si nasconde un personaggio, un reietto. Il ragazzo di buona famiglia cui viene regalato un cucchiaino per i sogni, un omosessuale che si sta scoprendo dando baci al bar “Lanterna”, un barbone che dorme nascondendo le sue 4 lire, un amico che si droga e capisce di essere al suo ultimo ballo con amici immaginari ad un passo dall’overdose. Lino è il nome della parte più delicata di noi, la più fragile. Un canto dovuto a qualcosa di tanto importante che sembra morire ogni giorno.

Gioia clandestina
Due amanti che si scoprono ad evocare tutta la magia del loro incontro e dei loro momenti felici. Ma quando ci si allontana dal mondo, si litiga, ci si ferisce, ecco che il mondo appare più cinico, come se non avesse mai conosciuto l’amore o se non gli avesse mai dato peso. I momenti felici restano, ma dentro quella distonia di incomunicabilità gli amanti percepiscono di essere solo “gioia clandestina”. Questo è il loro limbo.

La manna dal cielo
La storia di Paola Clemente, bracciante che muore nel 2015 durante l’acinellatura dell’uva, mentre era sui campi a lavorare. Morta di fatica, praticamente infarto. Poteva salvarsi ma stava lavorando sotto caporale e nessun medico poteva intervenire a patto di far scoprire l’illegalità di tutta l’organizzazione. È lei a parlare in prima persona. Il ritornello è una sorte di koinè pugliese con prevalenza di dialetto tarantino (morì a San Giorgio Ionico). La protagonista pronuncia le parole di un canto di ribellione di fine 800. «Il sole sta calando, sta calando, chiama il padrone che me ne vado». Nella versione originale l’affermazione era ironica e sottolineava l’assenza del padrone al calar del sole, perché in quel momento era tenuto a pagare. Qui prende il significato “chiama il padrone che me ne vado per sempre e voglio che veda che cosa ha creato”. Il limbo di questo personaggio è proprio nel ritornello, in quei pochi secondi che sono il pensiero della protagonista prima di morire. Il limbo in cui pensa ai suoi figli e all’ingiustizia che tanti come lei patiranno.

Notte messicana
È la storia di un uomo che decide di rifugiarsi in Messico per fare la rivoluzione. Sullo sfondo una situazione politica disastrosa dove il senso spirituale delle cose è totalmente asservito a politiche di compromesso che non danno alcun valore alla vita dell’uomo. (Correva il 2013, l’elezione di un papa reazionario, il numero di guerre più alto dalla seconda guerra mondiale, un’opinione pubblica totalmente anestetizzata che non sentiva più niente tranne il surrogato televisivo). Si rifugia in Messico e pensa in un bunker pieno di armi di organizzare, da solo, una rivalsa contro la società, ma si ritroverà ad inseguire l’amore, scrivendo lettere ogni giorno.

I capelli di Elena
Una ragazza semplice che riesce ad amare la vita per come è. Uno squarcio di bellezza rubato al giogo della morte. Amare ciò che arriva senza necessariamente abbellirlo o trasformarlo. Un amore discreto, profondo e silenzioso che crea il suo mistero. E più si fonde alla vita, più la vita parla attraverso lei.

Lo schiavo
Qui il limbo e la sospensione sono create da una confessione in un momento d’amore. Sono due artisti che si incontrano. Non importa cosa fanno. Lei si confessa schiava della bellezza. Non le importa del pubblico, non le importa il successo, non le importa la celebrazione di qualcosa che sfugge ai premi o alle lusinghe del mondo. Ciò che conta è il dialogo che ogni giorno si offre a lei nello struggente incanto delle cose. La bellezza tradisce, la bellezza ritorna e dà. Un inno alla libertà artistica. Lui viene ferito da questo, perché nella sua natura fino a quel momento c’era l’inseguire lucignoli e fatue promesse. Proprio in quel momento si accorge di avere la bellezza davanti, in lei che esprime queste parole. E sanguina. E diventa a sua volta schiavo.

Che stupida l’immensità
Stavolta trattasi di un limbo giocoso. Il momento del corteggiamento, il momento dell’amore nella sua leggerezza. Nella loro immensità, nel loro essere lievi e veloci, gli amanti si sentono scomparire in un gioco tra il sublime e lo scanzonato. Come se fossero sollevati da una corrente d’aria. Come se si partisse con una mongolfiera rotta che scenderà deliziosamente dopo pochi metri di altitudine. Un gioco di sguardi, un gioco di conquista che ha il diritto di essere raccontato come una sospensione della realtà.

Quello che non sai
Una giovane ragazza che scopre il sesso e l’amore. In questo sospensione dell’essere una scoperta immensa della propria femminilità e della propria identità. Il tempo deve farsi indietro, come un ladro senza le dita, non può toccarla. Si piantano le fondamenta per assaporare la vita in ogni sfumatura. E “tutto quello che non sai” viene a raccontartelo la notte, viene a raccontartelo l’amore.

Il Leviatano
In poesia, in letteratura, nella religione, il Leviatano è spesso identificato con un potente mostro marino. Nel brano assume il senso della profondità della vita. Inafferrabile, mistico, potente, decisivo, impietoso. È qualcosa che ci fa svegliare il mattino, che ci fa affrontare rotte nuove, che ci fa apprezzare l’acqua che brilla quando il viaggio procede a vele spiegate. Per sua natura il Leviatano non può essere preso o raccontato. Ed esiste nell’energia vitale delle persone, nel desiderio di ridere ed assaporare tutto in completa immersione. Lo inseguiamo, anche se non sappiamo cos’è. E l’autore ripeterebbe ogni sconfitta ed ogni avventura mille e mille volte se questo significasse poter essere sempre a pochi metri dalla sua avvolgente coda.

La gabbia del canarino
L’ultimo limbo è la morte fotografata. Una canzone dedicata al padre dell’autore, morto di infarto e quindi senza neanche avere il tempo di salutare. I giorni sono quelli trascorsi con la madre. Dormivano insieme increduli. Litigavano. Si abbracciavano. Tutto nell’incomunicabilità. (Ci guardiamo negli occhi è il momento peggiore/ ma se non lo vivi non sai più chi sei). La casa senza fondamenta si trasforma in una roulotte. La famiglia in due pazzi che ballano. La sensazione è quella di aggrapparsi goffamente alla vita come un dolce charlotte si aggrappa alle lancette dell’orologio per non cadere. Ed è un ballo senza futuro. L’incomunicabilità è un ballo senza futuro. Ma comunque un ballo da fare. Bisogna riconoscerne i misteriosi passi. La gabbia del canarino è ciò che trovano al risveglio: aperta. Simbolo del corpo o di qualcosa che c’era, o di un affetto ora volato. O di un’emozione da ritrovare, ora diversa.




 

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